L’ELOGIO FUNEBRE PER IL FUNERALE DI MONS. DE VIVO

In occasione del funerale di S.E. Mons. Giovanni De Vivo il Canonico Mons. Prof. Amleto Spicciani ne ha tenuto l’elogio funebre accennando alla disposizione canonica che “invita” i Vescovi a rassegnare le dimissioni al compimento del 75° anno di età. Mons. Giovanni De Vivo era originario del Clero dell’Arcidiocesi di Siena; era nato a Siena il 20 marzo 1940. Fu ordinato Sacerdote per l’allora diocesi di Colle Val d’Elsa il 15 marzo 1964. Insegnò filosofia presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XII di Siena, fu anche parroco a Strove e a Castellina Scalo, prima di essere nominato Vicario Generale dell’Arcidiocesi nel 1990. Il 18 dicembre 1993 il Papa lo nominò Vescovo di Pescia e il 23 gennaio 1994 ricevette l’Ordinazione Episcopale dall’Arcivescovo Mons. Gaetano Bonicelli nella Cattedrale di Siena. Fece il suo ingresso a Pescia il 6 marzo 1994. E’ deceduto il 20 Settembre ed il funerale è stato celebrato a Pescia, nella centrale Piazza Mazzini, il 24 successivo. Era stato Cappellano d’Onore della Milizia del Tempio e il 12 Agosto 2014 aveva celebrato i 50 anni di ordinazione sacerdotale, insieme agli amici e confratelli del suo corso, nella Chiesa magistrale.

Quando il vescovo, con gesto di squisita cortesia, volle che assumessi la dignità di canonico arcidiacono, per ciò stesso mi ha come predestinato anche al compito, che ora con emozione sento ingrato, di formulare a nome del Capitolo della cattedrale, in questa dolorosa circostanza, un doveroso omaggio alla Sua memoria: che sia soprattutto espressione di sentimenti di gratitudine per il Suo lungo servizio episcopale in questa nostra Chiesa. Un omaggio dunque congiunto al suffragio e al rendimento di grazie al Signore della vita.
Un atto di commemorazione quindi che deve essere pubblicamente manifestato a nome di un consesso canonicale, ma che ritengo mi sia pure concesso di poter esprimere, quanto al contenuto e alla forma, così come ora sgorga dal mio cuore, secondo il mio personale pensiero.
Sono infatti pienamente convinto che tutto il clero e il popolo della diocesi siano stati, insieme con me, partecipi commossi e ora grati alla memoria di mons. Giovanni De Vivo per la Sua alta testimonianza di fede, che si è riflessa palesemente e pubblicamente in un generoso amore e in una costante fedeltà alla cattedra su cui sedette, plaudendo il clero e il popolo, la sera del 6 marzo del 1994. In un tempo di separazioni, abbandoni e divorzi morali e giuridici, Egli è rimasto fedele al suo iniziale servizio di custode della fede e di quotidiano ascolto del tempo presente che ci è dato di vivere, i cui accadimenti ha sempre cercato di conoscere e di razionalmente comprendere per porgerci un continuo e confortante confronto con la Parola di Dio.
Il vescovo De Vivo non ha mai abbandonato questa cattedra, fino al giorno in cui volontariamente e liberamente ha riconosciuto che, per il bene delle anime e non per altro motivo, doveva rinunciarci. La Sua libera e volontaria rinuncia avrebbe garantito la legittima continuità della successione apostolica in questa nostra Chiesa di Pescia. Dio, nella Sua «bontà misericordiosa» ha disposto diversamente, perché la fedeltà alla cattedra episcopale di mons. De Vivo si sigillasse, nel più nobile dei modi, con la morte. E io ritengo che in fondo al Suo cuore, mons. De Vivo lo desiderasse ardentemente. Ricordo infatti che durante la giornata commemorativa del suo ventesimo anniversario episcopale, mentre io esprimevo ai convenuti il mio elogio per la Sua ormai lunga fedeltà alla originaria destinazione, mons. De Vivo mi interruppe esclamando con voce ferma e decisa che ciò doveva essere fino alla morte. Forse fu anche un gesto di cortesia nei miei confronti, perché sapeva benissimo quale fosse il mio pensiero e quali timori avessi nei confronti della esortazione fatta ai vescovi settantacinquenni di rinunciare spontaneamente al governo episcopale.
Mi preparavo infatti con grande disagio per la terza volta ad assistere in questa cattedrale al trapasso dei poteri di governo episcopale. Fatto che però mette in grande evidenza anche nel mio animo la certezza che è il Cristo Signore a reggere la Chiesa attraverso gli uomini che passano. Non possiamo infatti non meditare che nella successione delle figure episcopali che passano, rimane ferma e indefettibile la presenza del pontefice eterno, Cristo Signore.
Ciò naturalmente non vuol dire che l’atto di grande e generosa umiltà che oggi si richiede ai vescovi e ai parroci settantacinquenni non sia anche un segno molto espressivo della tristezza dei tempi che ci sono toccati di vivere, nel dinamismo frenetico di un efficientismo che tutti ci divora.
Viviamo infatti un tempo particolarmente difficile per la Chiesa, che assiste sgomenta al rapido diffondersi, in Europa e nei paesi del Nuovo Mondo, del rifiuto del giogo di Cristo, che nel passato aveva illuminato e fecondato la vita socio-politica di questi popoli. Nel mio spirito sento che stiamo vivendo un venerdì santo, nello sconforto, nel dubbio, nella incertezza di cosa fare.
Siamo in un tempo di esilio, per riprendere il titolo di una lettera pastorale, che mons. De Vivo scrisse per la quaresima del 2002, prendendo spunto dal libro biblico di Tobia, Tempo di esilio, tempo di grazia, recita quel titolo. «Il libro di Tobia» – Egli scriveva – «mi è sembrato particolarmente adatto e quasi un’icona, un’immagine, della nostra condizione di cristiani nel mondo di oggi e, nello stesso tempo, un invito a non perdere la speranza, a reagire allo scoraggiamento e ad impegnarsi per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo».
Tempo di esilio dunque, ma anche e soprattutto tempo di grazia: tempo di rafforzare la fede, tempo di sentirci Chiesa, tempo di annuncio, come il nostro vescovo ci ha insegnato, con ripetuti e forti inviti.
Nel Suo primo messaggio alla diocesi, il vescovo promise di voler camminare insieme. L’immagine del cammino, del procedere in avanti, esprime bene l’esperienza della nostra fede, alla quale la convocazione divina che ci unisce tutti insieme in quella realtà pellegrinante che chiamiamo Chiesa, dà colore e sostanza. A questo intento di camminare insieme mons. De Vivo è rimasto fedele in un ampio progetto pastorale, che ha trovato il proprio sviluppo nel cammino sinodale di Assemblea in cammino.
Dal camminare insieme è necessariamente anche nato il bisogno, che il nostro vescovo ha fortemente sentito e trasmesso alla diocesi, di conoscere e di comprendere, prima di tutto, la situazione della nostra Chiesa e poi quella dell’ambiente nazionale e internazionale entro cui viviamo. Conoscenza del presente, conoscenza del passato da cui il nostro presente sgorga.
Mi parve molto significativo il fatto che mons. De Vivo, all’indomani del suo ingresso in diocesi mi domandasse di fargli avere il testo della bolla leonina istitutiva della prelatura pesciatina che nel 1519 pose le basi della diocesi del 1727. Gli portai l’edizione dell’Ughelli e lui mi rispose con una lunga lettera nella quale in modo molto attento volle interpretare e commentare quel testo pontificio. Di questo testo ora possediamo una nuova edizione scientifica edita dal prof. Ottavio Banti, con cui si è inaugurata una collana voluta dal vescovo nostro come “Fonti e documenti per la storia della diocesi di Pescia”. Nella medesima collana sono apparsi poi gli atti di tre convegni storici, che mons. De Vivo ha desiderato che si organizzassero. Il convegno su mons. Angelo Simonetti, su santa Dorotea patrona di Pescia e, recentemente, quello su Chiesa e Risorgimento.
Sono aspetti dell’episcopato di Giovanni De Vivo che hanno avuto un riflesso di testimonianza positiva nel mondo che ci circonda, e in modo speciale nel mondo laico della cultura storica italiana, il cui compiacimento sono in grado di poter personalmente testimoniare. A questo proposito vorrei ricordare almeno due interventi di notevole importo finanziario voluti dal vescovo: il riordino e l’inventario degli archivi della Curia e del Capitolo, insieme con la sistemazione della Biblioteca Capitolare e di quella Diocesana, e l’istituzione di una borsa di studio per una ricerca storica sulle origini della diocesi, in preparazione dei cinquecent’anni della nostra Chiesa, che potranno essere celebrati nel 2019. Il vescovo De Vivo non ha mai perso occasione per ricordare o commemorare fatti e persone della nostra storia sia ecclesiastica sia civile. Basterebbe l’esempio della Sua attiva partecipazione alle cerimonie commemorative nel 1999 dei trecent’anni della elevazione di Pescia a città nobile. Dopo il convegno su mons. Simonetti, avrebbe anche voluto che la scienza storica si interessasse ad altri Suoi predecessori su questa cattedra episcopale, che giustamente si possono ritenere significativi delle passate vicende della Chiesa italiana. Giovanni Benini, Donato Velluti-Zati e Dino Luigi Romoli – ad esempio – furono infatti figure di vescovi le cui vicende e testimonianze storiche trapassarono di molto i confini della nostra diocesi.
Con ciò, mi piace ritornare alla lettera Tempo di esilio, tempo di grazia, perché l’impegno culturale di mons. De Vivo – come già dicevo – si è anche risolto in una testimonianza di fede cristiana entro il mondo laico della scienza. «Dio vi ha disperso in mezzo alle genti per proclamare la sua grandezza» diceva Tobia nella sua preghiera di esultanza, che il vescovo commentava così: «L’ultima conclusione suggerita dalla fede di Tobia: non solamente l’esilio purifica, rafforza la fede, consolida l’appartenenza alla Chiesa, ma è anche occasione per portare agli altri il messaggio di Dio». E mons. De Vivo questa occasione non ha voluto perderla, anche per il mondo della scienza e della cultura.
A questo pensiero mi viene in mente un’altra delle sue lettere pastorali, a mio parere la più bella e la più significativa del Suo episcopato: Come il ricordo dell’ospite di un sol giorno, dal vescovo inviata alla diocesi per la quaresima del 2005. «Il ricordo» – lui scriveva – «dipende dall’intensità del vissuto, dal modo con cui un episodio, una persona, un’esperienza sono entrati nella nostra vita». Sarà difficile che Giovanni De Vivo sia per noi «come il ricordo dell’ospite di un sol giorno», cioè un avvenimento che è «scivolato via e non vi è più traccia», non solo perché i venti anni del Suo episcopato sono stati pieni zeppi di iniziative e di realizzazioni pastorali, culturali e umanitarie, ma anche per il titolo vescovile rimasto intatto e non giubilato con cui Dio gli ha concesso di entrare e rimanere per sempre nella storia di questa terra e di questa Chiesa.

Mons. Amleto Spicciani, Arcidiacono del Capitolo della Cattedrale di Pescia